La coscienza di Zeno by Italo (alias Ettore Schmitz) Svevo

La coscienza di Zeno by Italo (alias Ettore Schmitz) Svevo

autore:Italo (alias Ettore Schmitz) Svevo [Svevo, Italo (alias Ettore Schmitz)]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Letteratura
ISBN: 9788890359798
editore: Liber Liber
pubblicato: 2008-03-02T16:00:00+00:00


è una specie di racconto o di confessione. Gli occhi di Carla brillavano di malizia e confessavano anche più delle parole. Non c’era paura di sentirsi leso il timpano ed io m’avvicinai a lei, sorpreso e incantato. Sedetti accanto a lei ed essa allora raccontò la canzonetta proprio a me, socchiudendo gli occhi per dirmi con la nota più lieve e più pura che quei sedici anni volevano la libertà e l’amore.

Per la prima volta vidi esattamente la faccina di Carla: un ovale purissimo interrotto dalla profonda e arcuata incavatura degli occhi e degli zigomi tenui, reso anche più puro da un biancore niveo, ora ch’essa teneva la faccia rivolta a me e alla luce, e perciò non offuscata da alcun’ombra. E quelle linee dolci in quella carne che pareva trasparente, e celava tanto bene il sangue e le vene forse troppo deboli per poter apparire, domandavano affetto e protezione.

Ora ero pronto di accordarle tanto affetto e protezione, incondizionatamente, ed anche nel momento in cui mi sarei sentito tanto disposto di ritornare ad Augusta, perché essa in quel momento non domandava che un affetto paterno che potevo concedere senza tradire. Quale soddisfazione! Restavo là con Carla, le accordavo quello che la sua faccina ovale domandava e non mi allontanavo da Augusta! Il mio affetto per Carla si ingentilì. Da allora, quando sentivo il bisogno di onestà e purezza, non occorse più abbandonarla, ma potei restare con lei e cambiare discorso.

Questa nuova dolcezza era dovuta alla sua faccina ovale ch’io allora avevo scoperto o al suo talento musicale? Innegabile il talento! La strana canzonetta triestina finisce con una strofe in cui la stessa giovinetta proclama di essere vecchia e malandata e che oramai non ha più bisogno di altra libertà che di morire. Carla continuava a profondere malizia e lietezza nel verso povero. Era tuttavia la giovinezza che si fingeva vecchia per proclamare meglio da quel nuovo punto di vista il suo diritto.

Quando terminò e mi trovò in piena ammirazione, anch’essa per la prima volta oltre che amarmi mi volle veramente bene. Sapeva che a me quella canzonetta sarebbe piaciuta di più del canto che le insegnava il suo maestro:

- Peccato – aggiunse con tristezza, – che se non si vuole andare pei cafés-chantants, non si possa trarre da ciò il necessario per vivere.

La convinsi facilmente che le cose non stavano così. V’erano a questo mondo molte grandi artiste che dicevano e non cantavano.

Essa si fece dire dei nomi. Era beata di apprendere quanto importante avrebbe potuto divenire la sua arte.

- Io so – aggiunse ingenuamente, – che questo canto è ben più difficile dell’altro per il quale basta gridare a perdifiato.

Io sorrisi e non discussi. La sua arte era anch’essa certamente difficile ed essa lo sapeva perché era quella la sola arte che conoscesse. Quella canzonetta le era costata uno studio lunghissimo. L’aveva detta e ridetta correggendo l’intonazione di ogni parola, di ogni nota. Adesso ne studiava un’altra, ma l’avrebbe saputa soltanto di lì a qualche settimana. Prima non voleva farla sentire.



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